Le vie dell’acqua
Il mulino di Pete
Mulin di Pete – 1931
A destra ragazze che raccolgono le patate con la pesante forca di ferro a tre denti, force.
Didascalia e Foto © Paul Scheurmeier – Archivio AIS foto n° 2895 – Istituto di Lingue e Letterature Romanze e Biblioteca Karl Jaberg, Università di Berna.
La Roggia dei Molini
Fin dai tempi antichi, l’acqua intercettata direttamente dai rii o incanalata artificialmente all’interno dei centri abitati è stata sapientemente usata non solo per soddisfare i bisogni primari della comunità, ma anche come forza motrice per le attività artigianali e industriali.
Mulini, segherie, battiferro, follatoi e turbine sfruttavano l’acqua per alimentare le loro attività, dando vita ad un panorama produttivo ricco e variegato.
Per muovere le ruote di questi opifici fu realizzata la Roggia dei Molini, una canalizzazione risalente al Medioevo che dal Torrente Auza correva, da nord a sud del paese, tra le borgate di Vico e di Baselia.
Il mulino di Pete
Sebbene la data precisa della costruzione del Mulin di Pete rimanga avvolta nel mistero, antichi documenti ne attestano l’attività già nel 1720.
Opifici idraulici nel 1930
Tratto dal libro C’era una volta in Carnia – Tite Candotti Micelon –
Il pesenâl
Come compenso per il suo lavoro, il mugnaio tratteneva per sé un ventesimo della farina, misurata con un apposito recipiente chiamato pesenâl che conteneva circa 9kg di macinato.
Lo staio, questo è il nome italiano, era un’unità di misura usata in Italia prima dell’adozione del sistema metrico decimale, con valori diversi da luogo a luogo.
Pesenâl
Disegno tratto da uno schizzo di Paul Boesch – 1922
Funzionamento
TRAMOGGIA / Tramuele
Sopra le macine era collocato un contenitore di legno a forma di piramide rovesciata, chiamato tramoggiaa, dove venivano immessi i cereali. Questi scivolavano automaticamente verso la macina, aiutati dalle vibrazioni trasmesse da un’asta di legno che strusciava sulla pietrae.
Un campanelloh, attivato dal parziale svuotamento della tramoggia, avvertiva il mugnaio della necessità di rabboccare i cereali. Il macinato cadeva infine su un piano di legno e setacciato manualmente.
MACINE / Mueles
Le due macine erano ricavate da pietra dura, scolpite e assemblate in loco. Sebbene avessero la stessa misura, la forma era leggermente diversa: la macina superiore era lievemente concava, mentre quella inferiore era convessa. Erano collocate l’una sopra l’altra a breve distanza. I chicchi cadevano nell’occhio della macina e venivano schiacciati dal movimento rotatorio.
Protette da una struttura in legno chiamata “cassero”g, le macine trasformavano i cereali in farina.
La “corridora”b, la macina superiore collegata direttamente all’albero motore, ruotava continuamente.
La “dormiente”C, statica e solida, fungeva da base. La distanza tra le due macine era regolabile tramite una manovella, consentendo di ottenere farine di diversa finezza.
Per evitare il surriscaldamento durante la macinazione, ingegnose scanalature a raggiera favorivano la circolazione dell’aria tra le macine. Con il tempo, l’usura levigava la superficie delle macine, rendendole meno efficienti.
Il mugnaio interveniva con un apposito martello, la “bocciarda”, ripristinando la rugosità necessaria alla macinazione.
Bibliografia:
Polo E., Toponomastiche di For Disot. Comune di Forni di Sotto, 2003
Polo E., Forni di Sotto Lotte Fatiche Opere nel 1800. Editrice Aura e Centro Cultura, 1989
Polo E., Vocabolari Fornez -Talian, 2018
Scarin E., La casa rurale nel Friuli. C.N.R., 1943
Bertossi S., Vecchie case dei Forni Savorgnani. Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Forni di Sopra, 1973
La Carnia di Antonelli - Ideologia e Realtà. Centro Editoriale Friulano, 1980
Scheuermeier P., Il lavoro dei contadini. Cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera italiana e retoromanza, Milano 1980, Edizioni Longanesi
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